Dopo aver perso LeBron James la scorsa estate, con The King che ha deciso di salutare, stavolta definitivamente, l’Ohio per approdare ai Los Angeles Lakers (quadriennale da 154 milioni di dollari per lui), i Cleveland Cavaliers hanno necessariamente inaugurato un nuovo capitolo della propria storia cestistica, al fine di ripartire adeguatamente dopo la conclusione di un’era a dir poco memorabile: un titolo, il primo nella storia della franchigia, vinto nel 2016 con una storica rimonta da 1-3 a 4-3 contro i Golden State Warriors, quattro Finals consecutive, altrettanti titoli di Conference messi in bacheca.

 

Con la fine della stagione 2017-2018, per l’esattezza dopo lo sweep subito ad opera dei Golden State Warriors nelle scorse finali NBA, però, l’era del dominio ad Est e della lotta al titolo con la squadra della Baia è ormai giunta al termine, con la partenza di LeBron che chiude un cerchio enorme dalle parti di Cleveland. I Cavs, infatti, scelsero LBJ con la prima scelta assoluta al Draft 2003 e con lui raggiunsero per la prima volta le Finals nel 2007, venendo sconfitti per 4-0 dai San Antonio Spurs di Tim Duncan, Tony Parker, Manu Ginobili e coach Gregg Popovich.

 

Da uno sweep all’altro, il passo è breve: nel mezzo, l’addio a metà del Re, trasferitosi ai Miami Heat nell’estate 2010 (quattro Finals e due titoli in quattro anni al fianco di Dwyane Wade e Chris Bosh), la scoperta di Kyrie Irving, prima scelta al Draft 2011, il ritorno di James nel 2014 e, contestualmente, quello ad alti livelli di una squadra che senza il proprio condottiero aveva inevitabilmente galleggiato nei bassifondi della Eastern Conference per quattro anni, non riuscendo mai ad approdare ai playoff.

 

Dopo l’incredibile impresa di LeBron, coadiuvato, in particolar modo, dallo stesso Irving e da Kevin Love, ma anche dai vari Tristan Thompson e J.R. Smith, culminata col titolo vinto, era complicatissimo, se non impossibile, ripetersi, soprattutto dopo l’approdo di Kevin Durant a Golden State nell’estate 2016, ironia della sorte proprio dopo la sconfitta dei Warriors migliori di sempre (73 vittorie e 9 sconfitte in regular season, nessuno come loro) guidati dal due volte MVP Steph Curry, che a loro volta avevano eliminato in una clamorosa rimonta da 1-3 a 4-3 gli Oklahoma City Thunder di KD e Russell Westbrook in finale di Conference.

 

LeBron ha fatto il massimo per permettere a Cleveland di restare competitiva, trascinandola ad altre due Finali: particolarmente emblematica è quella più recente, cui The King è arrivato praticamente da solo, considerando l’addio dell’All-Star Irving e il progressivo calo fisico e di rendimento dei suoi compagni di squadra, tra cui Love, Smith, Thompson e Korver, fronteggiando i Golden State Warriors con un problema alla mano destra e riuscendo comunque a chiudere le Finals con medie di 34 punti, 8.5 rimbalzi, 10 assist, 1.3 palle recuperate e una stoppata col 52,7% al tiro.

 

Il rischio di perdere James era nell’aria da tempo dalle parti di Cleveland. Del resto, l’argomento ha tenuto banco per tutto lo scorso anno in casa Cavaliers, a partire dall’estate 2017, data la scadenza del contratto del leggendario numero 23 fissata per il termine della stagione 2017-2018. I Cavs si erano preparati all’evenienza assicurandosi la prima scelta dei Boston Celtics, nell’ambito della trade che ha portato Irving nel Massachusetts, con cui poi hanno selezionato Collin Sexton (ottava scelta del primo giro) allo scorso Draft.

 

Love sembrava anch’egli destinato a concludere la propria esperienza nell’Ohio dopo quattro anni, ma è stato poi investito del ruolo di uomo franchigia, come testimonia il rinnovo contrattuale da 120 milioni di dollari per quattro anni, così come restano alla corte di coach Tyronn Lue i tanti giovani presenti nel roster, ossia i vari Cedi Osman, Larry Nance Jr. (recentemente rinnovato con un quadriennale da 44,8 milioni) e Ante Zizic, cui si aggiungono i nuovi arrivati Sam Dekker, David Nwaba e Billy Preston, nonché le permanenze di Clarkson, Hood, Hill, Korver e Thompson e il ritorno di Channing Frye.

 

In quest’ottica, la squadra sembra avere il giusto mix di esperienza e talenti futuribili. Insomma, il fatto che con l’addio di LeBron James Cleveland abbia perso gran parte della propria competitività è assolutamente innegabile, ma al contempo i Cavaliers non hanno deciso di intraprendere la strada del tanking, come in molti preannunciavano qualche mese fa, preferendo optare per una concreta ricostruzione mirata alla valorizzazione dei tanti giovani talenti a disposizione di coach Lue, la quale potrà avvenire soltanto col contributo dei numerosi veterani presenti nel roster.

 

Oltre a ciò, il passaggio di LeBron James ai Los Angeles Lakers ha scombussolato non soltanto gli equilibri della franchigia dell’Ohio, ma quelli dell’intera Eastern Conference. Ad Est, infatti, la lotta per individuare l’erede al trono di King James è piuttosto serrata e, in un contesto simile, i Cavaliers potrebbero dire la loro per guadagnarsi almeno un piazzamento ai playoff. Liberandosi di qualche contratto pesante, tra cui quelli di Thompson (circa 36 milioni fino al 2020), Hill (37 milioni per i prossimi due anni), Smith (30,4 milioni fino al 2020) e Clarkson (25,9 milioni per le prossime due stagioni), magari prima della trade deadline del prossimo febbraio, inoltre, i Cavs potrebbero liberare tanto spazio salariale in vista della free agency dell’estate 2019, che si preannuncia ricca di sorprese e che avrà tra i suoi protagonisti tanti elementi di spicco della lega.

 

La stagione 2018-2019 è cominciata con una sconfitta, nemmeno poi così netta, contro i Toronto Raptors di Kawhi Leonard (116-104), una delle squadre favorite per la lotta al titolo di campione della Eastern Conference, insieme ai Boston Celtics e ai Philadelphia Sixers (più defilate, Milwaukee Bucks e Indiana Pacers). Un ko più che accettabile, che mette in evidenza il fatto che nel giro di pochi mesi i Cavs si siano indeboliti tanto al cospetto dei canadesi (sweepati nelle recenti semifinali di Conference) e non solo, ma anche che il materiale per sviluppare una squadra destinata a tornare competitiva, in Ohio, ci sia eccome.