Nel mondo della pallacanestro, specie quella contemporanea, il termine “Poetry in motion”, ovvero sia, letteralmente, “Poesia in movimento” viene spesse volte usato per descrivere le gesta di determinati protagonisti del parquet, prevalentemente di quello statunitense. Quel parquet, in generale, inteso a rappresentare  quello di ogni singolo palazzetto di una franchigia, dalla più mediocre alla più prestigiosa, della National Basket Association, o “volgarmente” denominata Nba. Ma torniamo alla nostra, si fa per dire, “Poetry in Motion”. Chi più di tutti ha interpretato questo concetto, ma per certi versi lo ha  anche trasceso, è tale Steve Nash. Un uomo che, per citare la nostra entità spirituale Federico Buffa, “Se entrasse in una stanza e tu te lo ritrovassi di fronte , non penseresti minimamente che un uomo di una simile stazza (180 cm) e con una simile educazione, rara per i  protagonisti dell’Nba odierna, abbia vinto 2 volte il trofeo di Mvp, dominando, tiranneggiando su ogni singola difesa che si sia mai trovato di fronte”.

 

Fin dagli albori della carriera, Steve fu considerato troppo mingherlino, troppo “normodotato” per starci in Nba, eh certo  che era normodotato, paragonato a gente che di norma era alta due metri non poteva che essere considerato tale rispetto a “quelli lì”. Ma avercene di normodotati così. Un giocatore, ma che dico, un “nano magicante” del genere non si era mai visto, nemmeno in una lega di supereroi come l’Nba. Chiunque lo avesse in squadra si rivolgeva al Cielo, e  ringranziava Nostro  Signore, poichè si era trovato, quasi per caso, in quel contesto, in quel determinato momento, insieme a uno, che aveva l’aspetto di un semplice ragioniere, già, un ragioniere, solo con delle licenze giusto un po’, per così dire, non usuali.

 

Sbeffeggiare, trucidare,  gli avversari era l’esito di ciò che Steve compiva, ma attenzione, non l’intento primario. Ciò non significa che Steve non fosse spietato, o che non fosse competitivo, tutt’altro. La voglia di vincere lo ha sempre accompagnato, come è giusto che sia, in special modo per uno così; ma essa, non è mai stata un’ossessione.  Ciò che differenzia proprio Steve dalla maggior parte delle altre leggende Nba, perchè di leggenda in questo caso  si tratta, è che ad essere prioritario per lui non era la vittoria, ma la gioia, il divertimento che provava mentre toccava la sfera .Ogni passaggio spettacolare, talmente bello che strabuzzavi gli occhi ad ammirarlo, portava con sè sempre un’aura di sommo divertimento e di tanta, ma tanta creatività. Il 13 ha sempre calcato il parquet con quell’aria spensierata, a volte  per certi versi fanciullesca. D’altronde sono i “Fanciulli” quelli ad essere sempre spensierati, quelli capaci di inventarsi nuovi passatempi, ma sopratutto quelli ad avere sempre il sorriso stampato in faccia.Steve Nash è sostanzialmente un bimbo un pochetto cresciuto, che prima di ogni altra cosa si è divertito, sia che vincesse o che perdesse non ha mai smesso di sorridere, di essere sè stesso e di rincorrere quella fottuta palla, fino a che avesse avuto fiato in corpo.

Oh Canada, ti rendiamo grazie, perchè ci hai offerto in dono questo “Tipo Qualunque” con il quale poterci immedesimare e poter pensare “Se Steve c’é riuscito, contro gente alta 30 centimetri più di lui, allora posso farcerla anch’io, non devo far altro che impegnarmi e lavorare”. Un sentito grazie va ovviamente anche a te Steve, concedimi di darti del tu, la tua leggenda, fatta di libertà, speranza, spensieratezza e tanti altri concetti inennarabili vivrà sempre lì, dentro la memoria di chi ha avuto la fortuna insensata di assistere ad ogni tua singola movenza su quel campo. Steve Nash, il nano magicante, con licenza di rendere incantati i parquet di tutto il mondo.

 

Giovanni Fede