Se in questo momenro vi elencassi tre fattori, ossia: testa pelata, orecchie a sventola, inarrestabile tiro da 3; Voi a chi pensereste?
Per i due che non avessero indovinato, parliamo di Reggie Miller, in arte “Killer Miller”.
Vi siete mai chiesti perché il “Killer”, perché proprio questo soprannome? Perché non il “Cecchino” o l’ “Arciere” o il “Pistolero”? Sarebbero forse stati più adatti al tipo di gioco che faceva, ovvero la precisione di un cecchino, l’eleganza di un arciere e la rapidità di un pistolero.
Il Killer perché, semplicemente, era spietato. Il suo gioco non lo faceva solo con i fatti, che comunque risultavano impressionanti, ma dava valore e peso a quest’ultimi perché prima ti bullizzava con le parole. Era una eccellente usufruitore del trash talking. Il suo gioco consisteva nell’insultarti e sbeffeggiarti inizialmente per poi arrivare al colpo di grazia con una perfetta uscita dai blocchi dove tu avversario risultavi impotente e poi ti trafiggeva nell’orgoglio con una tripla che ti stampava in faccia.
Eri invece tu a provocarlo? No problem for the killer. Non dava peso alle parole dell’avversario, anzi il suo intento era quello di smentirlo e farlo ricredere sul giudizio che gli aveva dato. Se in una partita risultava ininfluente ai fini della squadra e non sembrava esattamente in giornata, se si sentiva offeso dalle parole di un avversario per la scarsa qualità espressa in partita, immediatamente l’istinto del killer veniva fuori solo per poter ridere in faccia al nemico e fargli rimangiare le parole.

Ma da dove nasce la leggenda Killer Miller? Facciamo dunque un passo indietro.
Quando nacque, Reginald Wayne Miller, era talmente esile che i medici pensarono che non sarebbe mai riuscito a camminare se non con apparecchiature adatte al sostegno delle gambe, ovviamente il seguito prova che avevano torto, ma questa sua inadeguatezza fisica fu proprio il motivo della costruzione del suo micidiale tiro tanto preciso quanto efficace. Ricordiamo che è fratello di una delle più grandi cestiste della WNBA, tale Cheryl Miller, con la quale il piccolo Reggie si allenava nel campetto dietro casa. Veniva di consueto battuto dalla sorella maggiore che lo stoppava ad ogni sua percussione in area. “Non posso penetrare e appoggiare al ferro? Bene allora vuol dire che tirerò. Mia sorella mi stoppa ugualmente? Bene alzo la parabola del tiro e così dovrà entrare.” Questo in linee generali è il processo mentale che Miller avrà dovuto fare per costruirsi il tiro, trovatemi qualcosa che non quadra in questo ragionamento.

Crescendo si fa anche lui la sua nomina al liceo , ovvero quella di ottimo tiratore ma con grandi dubbi rilegati al suo fisico.
Dopo essere stato scartato dalle altre università, UCLA che è forse la più prestigiosa università americana, gli da una chance reclutandolo.
-“Chi è sto smilzo?”
-“Boh dicono che sa tirare”.
Il ragazzo sa tirare e come. Unico insieme a Kareem Abdul-Jabbar e a  Gail Goodrich a raggiungere i 700 punti in una stagione con UCLA.

A Los Angeles allena John Whooden, un estremo amante del gioco pianificato dettaglio per dettaglio, delle geometrie di passaggi, delle tattiche e degli schemi. Però, come scrive E. Agostinelli “[…] poi c’era Reggie. Uno che appena aveva 10 cm di spazio dal difensore, pure se si fosse trovato a 8 metri abbondanti dal canestro, avrebbe scagliato uno dei suoi lanci di catapulta mandando su tutte le furie coach Wooden per aver interrotto quella sinfonia perfetta che era lo schema offensivo. Però faceva sempre canestro, sto smilzo…”

Arrivato in NBA giocò per tutta la sua carriera da professionista per gli Indiana Pacers.
Fu un giocatore implacabile, sempre l’ultimo ad arrendersi. In campo era in grado di aggiustare una partita nel finale come se niente fosse, specialmente se provocato. L’unico rimpianto? Non averlo visto con un anello al dito, ma pazienza, vuol dire che lo ricorderemo solo come uno dei migliori tiratori da dietro l’arco della storia del basket.
Un gioco semplice e lineare coadiuvato da un inestimabile talento e freddezza hanno caratterizzato lo stile di Reggie Miller, e quando il gioco si fa duro arriva anche l’istinto del killer.
Testa pelata, orecchie a sventola, inarrestabile tiro da tre, un nome e una garanzia, Reggie “the killer” Miller.

 

Stefano Virgadaula