La stagione attualmente in corso si è rivelata sin da subito più complicata del previsto per gli Houston Rockets, che ai nastri di partenza avevano il difficile compito di confermare quanto fatto lo scorso anno, quando si piazzarono al primo posto a Ovest col miglior record della lega e della loro storia (65-17).

 

Dopo un’estate di tanti cambiamenti, con tante scommesse, molte delle quali perse, Carmelo Anthony in testa, e altrettanti saluti, in primis quello di Trevor Ariza, i Razzi hanno dovuto fare i conti anche con numerosi infortuni dei loro principali punti di riferimento, tra cui, nell’ordine, Chris Paul, Eric Gordon e Clint Capela.

 

Il pessimo inizio di stagione (1-5 dopo le prime 6 partite e 11-14 a inizio dicembre) lasciava presagire un declino piuttosto netto della franchigia texana, ma gli uomini di Mike D’Antoni hanno via via ritrovato fiducia e certezza, scalando sempre più posizioni in classifica e tornando ai piani alti della Western Conference.

In questo senso, se le scelte estive si erano rivelate errate (Carmelo Anthony è stato accantonato dopo appena 10 partite, Brandon Knight non ha mai avuto modo di dire la sua a causa dei problemi fisici che lo attanagliano da anni e Marquese Chriss non è mai entrato stabilmente nelle rotazioni di D’Antoni), Morey ci ha messo una pezza con gli ingaggi di Danuel House, Austin Rivers e Kenneth Faried.

Se il primo ha poi lasciato la squadra a causa del mancato raggiungimento di un accordo per un nuovo contratto, gli ultimi due si sono rivelati piuttosto utili alla causa, inserendosi in brevissimo tempo nel sistema di gioco di Houston e consentendo ai Rockets di non risentire totalmente delle assenze di Chris Paul e Clint Capela.

Dopo aver ottenuto una serie di importanti successi tra dicembre e gennaio (undici vittorie in dodici gare tra la fine di dicembre e l’inizio del 2019, tra cui quelle contro Spurs, Oklahoma, Boston e Golden State), anche e soprattutto grazie alle prestazioni stratosferiche di James Harden, salito in cattedra a suon di numeri pazzeschi, i Razzi hanno balbettato a gennaio, perdendo alcuni incontri a dir poco alla loro portata.

Rientrano in questa lista i ko con gli Orlando Magic, i Brooklyn Nets, i New Orleans Pelicans privi di Davis, Randle e Mirotic, ma meritano di finire sotto i riflettori anche le sconfitte contro Denver Nuggets e, soprattutto, Oklahoma City Thunder. Contro OKC, infatti, Houston sembrava avere la gara in pugno per gran parte del primo tempo, salvo poi capitolare nella ripresa.

Dopo aver chiuso la prima frazione di gioco sul 70-48, infatti, i Rockets si sono rivelati incapaci di gestire il largo vantaggio accumulato in loro favore nei primi due quarti, concedendo agli ospiti un parziale di 42-20 nel terzo quarto e uscendo sconfitti per 117-112 tra le mura amiche.

Un problema, quello della capacità di gestire il vantaggio, che la squadra di D’Antoni ha già palesato più volte nel corso di questa regular season: basti pensare alle sconfitte con Minnesota (103-91, con i Rockets che all’intervallo conducevano per 62-48), Milwaukee (116-109, parziale di 62-49 per i Cervi nel secondo tempo), Orlando (116-109, con i padroni di casa capaci di imporsi per 64-50 nella ripresa), Brooklyn (145-142, Houston era avanti 142-135 a 1:28 dal termine dell’overtime) e New Orleans (121-116 per gli ospiti al Toyota Center, parziale di 62-50 negli ultimi due quarti per NOLA).

Insomma, i Rockets hanno necessariamente bisogno di acquisire una mentalità più solida e incisiva, onde evitare di perdere ancora tante altre partite facendosi rimontare scarti abbastanza netti, anche perché ai playoff errori del genere potrebbero risultare fatali sin da subito.