Gran parte dei protagonisti del variegato universo cestistico a stelle e strisce hanno numerose storie difficili e degne di nota alle proprie spalle e, spesso e volentieri, si tratta di vicende tanto complicate quanto surreali che li rendono più forti e pronti per superare ostacoli di ogni tipo, il tutto attraverso un percorso affrontabile solo grazie ad un carattere forte e ad una motivazione altissima. Il basket rappresenta in tanti casi la via di fuga per chi intende dare una significativa svolta ad una vita di povertà e miseria, ad un destino già scritto e da cambiare in fretta, o semplicemente per chi vuole ritrovare il sorriso e la serenità che determinati eventi possono togliere. È il caso di Trevor Ariza, esperto lungo attualmente in forza agli Houston Rockets.

 

La sua carriera in NBA è cominciata nel 2004, dopo aver trascorso appena un anno al college ad UCLA, in quel di Los Angeles, venendo prelevato dai New York Knicks con la quarantatreesima scelta assoluta al Draft. Dopo aver trascorso due anni nella Grande Mela e una stagione con la maglia degli Orlando Magic, nella sua Florida, si trasferisce ai Los Angeles Lakers, con cui in due anni vince un titolo NBA nel 2009, dando un ottimo contributo nelle Finals vinte proprio contro i Magic, in particolar modo in gara-4, mettendo a referto 16 punti e 9 rimbalzi che permettono ai gialloviola di rimontare lo svantaggio nel secondo tempo e di apparecchiare la tavola per chiudere definitivamente la serie e mettersi l’anello al dito.

 

Nell’estate 2009, firma un quinquennale con gli Houston Rockets, ma dopo appena un anno viene ceduto ai New Orleans Pelicans, quindi milita per un biennio tra le fila dei Washington Wizards, franchigia della capitale degli Stati Uniti, e nell’estate 2014 torna alla corte dei Razzi texani, firmando un quadriennale da 32 milioni di dollari complessivi. In quel di Houston ha finalmente trovato la sua dimensione ideale dopo un lungo girovagare tra Est ed Ovest, affermandosi come un abile difensore ed un gran tiratore da dietro l’arco e diventando un importante punto di riferimento di una squadra capace di crescere in maniera esponenziale anno dopo anno, in particolar modo dopo l’arrivo in panchina di Mike D’Antoni.

 

Quest’anno l’ex Baffo lo ha confermato tra i titolari del suo quintetto e lui lo ha ricompensato fin qui alla grande, in virtù di ottime statistiche individuali e prestazioni all’insegna della continuità e della solidità, con medie di 12,2 punti, 4,5 rimbalzi, 1,5 assist e 1,6 palle recuperate per partita, con il 43% al tiro dal campo e il 39% da dietro l’arco. Del resto, Ariza è uno di quei giocatori che gioca in un mondo tutto suo, che sul parquet sa focalizzare la propria concentrazione esclusivamente sulla partita ed è un guerriero che lotta su ogni pallone dall’inizio alla fine della gara. La sua assenza, seppur breve, per infortunio si è fatta sentire: contro i Boston Celtics, con i suoi Rockets sotto di tre punti a 1:35 dalla fine, ci ha pensato lui a togliere le castagne dal fuoco con la tripla del pareggio e la steal + layup per il sorpasso.

 

Non poteva essere altrimenti considerando il triste evento che ha contribuito a forgiarne il carattere grintoso e battagliero che non esita a mettere in mostra partita dopo partita, ossia la scomparsa del fratellino Tajh, che ad appena cinque anni, nel marzo del 1996, precipitò dalla finestra dell’albergo in cui si trovava insieme all’altro fratello, Kenny, di otto anni e alla loro baby-sitter. Mamma Lolita e i tre bambini si erano recati a Caracas, capitale del Venezuela, per assistere ad una partita di basket del patrigno Kenny McClary. Recatosi in anticipo al campo con la madre, Trevor, allora appena decenne, notò che il patrigno era tornato negli spogliatoi a pochi istanti dall’inizio della gara e lì lo vide rompere un tavolino con un pugno.

 

Preoccupato, tornò dalla mamma per comunicarglielo ma si accorse che lei non c’era, quindi non si scompose e chiese un passaggio per tornare all’albergo dove alloggiavano. All’esterno dell’hotel c’era una folla piuttosto numerosa e, dopo essersi fatto largo tra la gente, Trevor salì al trentesimo piano e scoprì il terribile episodio avvenuto poco prima, ossia la caduta nel vuoto del fratellino Tajh, che irruppe come un fulmine a ciel sereno nella vita serena della famiglia Ariza.

 

Da quel momento, Trevor ha continuato a lottare e ad andare avanti, non senza difficoltà, per Tajh, riuscendo a coronare il suo sogno di entrare in NBA e tatuandosi la seguente frase sul polso sinistro: “Blood is thicker than water. I am my brother’s keeper. Rest in peace, Tajh. I miss you”, ossia: “Il sangue non è acqua. Sono il custode di mio fratello. Riposa in pace, Tajh. Mi manchi”, a testimoniare il fatto che il ricordo di suo fratello è un qualcosa di eterno.

 

Trevor ha tanti altri tatuaggi in onore di Tajh ed è proprio così che ha chiamato il suo primogenito. Ad aiutarlo a superare quella tragedia che avrebbe abbattuto chiunque è stata anche e soprattutto la pallacanestro. In merito all’importanza del basket nella sua vita, Ariza ha dichiarato: “Guardo alla pallacanestro come un qualcosa che amo e che mi permetta di evadere dal mondo reale”. Quello stesso mondo che oggi lo vede protagonista con la maglia degli Houston Rockets partita dopo partita, sera dopo sera, su tutti i parquet statunitensi, con il ricordo di Tajh che non svanisce mai dalla sua mente.