Per molti Philadelphia è quella squadra che ha passato solo anni bui e che si sta riprendendo solo adesso con il “THE PROCESS”. Prima del periodo di oscurità di questa franchigia c’è stato un tempo in cui le cose andavano per il verso giusto, quando erano più le partite vinte che quelle perse. Una squadra portata avanti da un ometto di 183 centimetri per 85 chilogrammi, con il numero 3 sulla maglia, che metteva anima e corpo sul parquet e che sfidava i colossi del basket americano senza paura.

THIS IS THE ANSWER, THIS IS ALLEN IVERSON.

Come molti di coloro che giocano in questa lega, anche Allen viene da una condizione familiare difficile. Nasce a Hampton, in Virginia. La madre Ann, appena quindicenne, lasciata dal fidanzato abbastanza noto dalle forze dell’ordine, decide di andare a vivere con la nonna. Poco dopo conosce Michael Freeman, il quale cercherà di occupare quel posto lasciato dal legittimo padre. Michael e Ann desideravano vedere il proprio figlio giocare basket, Strano ma vero, il primo amore di Iverson è per il football: amava lo sport di contatto e considerava il basket “uno sport per fighette”. Allen voleva vincere contro i suoi avversari col contatto fisico, con la velocità, con la sua voglia di dominare. Lo sport è stata una salvezza per lui, un modo per fuggire dalla strada e sfogarsi da una rabbia che gli ardeva dentro. I suoi comunque lo costrinsero a metter piede, fortunatamente per noi (anche per lui), sul campo da gioco, e alla fine si divertì. Alla Bethel High School era diventato una stella, eccellente giocatore sia nel basket che nel football grazie alle sue doti straordinarie, grazie al suo enorme talento, tanto che al terzo anno riuscì a vincere il campionato statale sia di football che di basket.

Una sera di febbraio del 1993 si trovava insieme ad un gruppo di amici in una sala da bowling, quando scoppiò una rissa con un gruppo di ragazzi bianchi: dalla calca partì una sedia che prese in testa una ragazza. Si pensava che fosse stato Allen, fatto sta che vennero arrestati solo lui e un amico. Condannato inizialmente a cinque anni di galera, riuscì ad ottenere un grande sconto (grazie soprattutto all’intervento del governatore della Virginia) tanto da rimanere in carcere per soli quattro mesi. I problemi per lui non finirono. Il recente accaduto che l’aveva visto coinvolto fu causa di una pubblicità negativa nei suoi confronti, tanto che tutti quei college che nei mesi precedenti erano disposti a qualsiasi cosa per averlo in squadra, adesso non erano più tanto convinti di volerlo. La madre Ann allora supplicò il coach della Georgetown University John Thompson, il quale per compassione decise di soddisfare la richiesta della madre.

Allen inizia a giocare una pallacanestro eccezionale, producendo punti su punti, grazie al suo atletismo, la sua velocità, il suo “abusivo palleggio”, grazie alla sua voglia di vincere e il suo enorme cuore. Al primo anno è il Rookie of the Year e difensore dell’anno con una media di 20 punti, ma soprattutto con una media superiore alle 3 palle rubate a partita. Il secondo anno migliora, alzando i punti per partita a 25. Tutto bello da questo punto di vista. Ma c’era ancora qualcosa che non andava, e quella cosa era la madre che in quel periodo versava in delle condizioni disastrose. Allen deve fare una scelta: decide di dichiararsi eleggibile al Draft, pronto per il grande passo nella lega dei giganti.

Un Draft speciale quello del 96, composto da persone come Ray Allen, Bryant, Nash, Stephon Marbury. Allen venne scelto alla prima chiamata dai Philadelphia 76ers. Quello per lui era un sogno che si stava avverando dopo anni di stenti e privazioni. Iverson inizia alla grande, giocando e comportandosi da uno che sembra tutto tranne che una matricola. Diventa il primo rookie della storia a segnare 40 punti in cinque gare di fila e 50 punti in una partita. Conclude la stagione con ottime medie: 23 punti, 7.5 assist e 4 rimbalzi e come poteva essere prevedibile vinse anche il premio ROY.

Questo successo sul piano del singolo non può essere paragonato invece alla stagione della squadra: Phila infatti concluse la stagione con un record negativo di 22-60. Iverson già al primo anno iniziò a crearsi una controversa figura, uno che o lo ami o lo odi. Trash talking, eccesso di ego e di sicurezza lo fecero diventare uno dei giocatori più odiati della lega. Con i suoi crossover iniziò a bullizzare decine di giocatori e a eccitare migliaia di spettatori: uno su tutti, il famoso crossover compiuto ai danni di Michael Jordan (ci vogliono degli attributi enormi per poter sfidare in questo modo uno del calibro di HIS AIRNESS).  A Phila c’era ancora qualcosa che non andava, la squadra non riusciva a essere competitiva e i playoff sembrano un miraggio. Era necessaria una soluzione, un cambiamento radicale. Arriva un nuovo coach, Larry Brown.

Larry era un uomo con un carattere forte, allo stesso tempo uno tradizionale, molto simile a A.I. Scelse subito di rivoluzionare la squadra, decidendo di conservare del vecchio sistema solo Allen. E sarà proprio su Iverson che Larry decise di costruire la nuova squadra. Era ben prevedibile che ci sarebbero state delle incomprensioni: Brown voleva un gioco di squadra, Iverson voleva essere la squadra, la star. Nella stagione 98/99 Phila iniziò finalmente con la marcia giusta, con un Allen nelle vesti di miglior marcatore della lega, riuscendo a portare Phila ai Playoffs, anche se vennero eliminati al secondo turno da Indiana. I Sixers raggiunsero i Playoffs anche nella stagione successiva, ma si ritrovarono di nuovo contro i solidi Pacers che superarono facilmente il primo turno. Il rapporto tra coach Brown e Iverson non era dei migliori: il giocatore spesso e volentieri saltava di sua volontà gli allenamenti e ascoltava poco le indicazioni dell’allenatore. La situazione era così critica che Brown chiese alla dirigenza di cedere il giocatore (si pensa che Allen fosse a un passo dai Los Angeles), cosa che per fortuna non avvenne.

Nella stagione 2000/2001 approda in Pennsylvania Dikembe Mutombo, un valore aggiunto ad una già solida franchigia come quella dei Sixers. In quello stesso anno The Answer migliorò drasticamente il suo gioco, raggiungendo livelli eccezionali, aggiudicandosi il titolo di MVP dell’ASG e della regular season. Il 2001 è una stagione magica per i Phila che approda con facilità ai playoff. Sconfiggono gli Indiana al primo turno. Al turno successivo i 76ers ingaggiarono uno scontro epocale con i Toronto Raptors, infiammando l’animo di migliaia di tifosi (da ricordare i 54 punti in gara due e i 52 in gara 5 per A.I. e i 50 di Vincent Carter in gara 3). Battuti facilmente i Milwaukee Bucks, Phila giunse finalmente alle Finals.

Quei Sixers potevano vincere tranquillamente il titolo, se solo non avessero incontrato una delle migliori edizioni di sempre dei Lakers composti dal duo Bryant- O’Neal, i quali fino a quel momento non avevano perso nemmeno una partita durante i Playoffs. Gara 1 è forse una delle cose più inaspettate e sorprendenti: Phila riesce a espugnare a Los Angeles i Lakers, grazie ad uno stratosferico Iverson che concluse la gara con 48 punti, con annesso un crossover illegale su Tyronn Lue. Nelle partite successive, come era prevedibile, i Lakers ebbero la meglio e si portarono a casa il titolo. L’anno successivo fu l’inizio di un inesorabile declino, causato da infortuni e da una squadra non più solida come quella degli anni precedenti, un declino che si concluse con l’addio di Iverson nella stagione 2006 per approdare a Denver, dove non riuscì a brillare come un tempo. Dopo queste esperienza passò per Memphis, Pistons, Besiktas e Philadelphia. Nel 2013 annunciò il suo ritiro.

Non c’è e probabilmente non vedremo mai un giocatore singolare come A.I. Un giocatore tanto tecnico, capace di un rapido palleggio incrociato, un ball handing infinitamente unico, capace di crossover tanto pericolosi quanto belli. La vera essenza di quello che ha lasciato sul parquet è la forza di volontà, la passione, il coraggio di provare quando tutti andavano contro di te, un cuore troppo grande per un ragazzo della sua taglia. Ha lasciato la passione per uno sport capace di far innamorare e ispirare migliaia di ragazzi che hanno una profonda relazione con la palla a spicchi. Uno che ha creato uno stile, che ha dovuto superare da solo tutte le difficoltà che incontrava sia dentro, sia fuori da un campo di basket.

Questo, semplicemente, è Allen Iverson.