Gara-1 della finale della Western Conference tra Houston Rockets e Golden State Warriors è stata indubbiamente una delle partite più spettacolari di quest’edizione dei playoff, avendo messo di fronte le due squadre migliori della lega. Sin dalle prime battute, sia i padroni di casa che gli ospiti non si sono risparmiati, mettendo in mostra il meglio del proprio repertorio ed accendendo immediatamente gli animi. 

 

I campioni in carica hanno vinto una battaglia, anche piuttosto importante, ma la guerra è ancora lunga e di certo entrambe la combatteranno con le migliori armi. Golden State ha dalla sua l’MVP delle scorse Finals, un giocatore sensazionale che in contesti del genere si esalta e agli altri non lascia nemmeno le briciole: Kevin Durant, il vero protagonista della vittoria dei Warriors. Come nei playoff dell’anno scorso, anche quest’anno è KD che sta facendo la differenza per i suoi, risultando praticamente immarcabile.

 

Tra triple devastanti, schiacciate imperiose, infallibili conclusioni dalla media e uno strapotere figlio di un’incrollabile fiducia nei propri mezzi fisici, tecnici e mentali, Durant è indubbiamente tra i migliori giocatori della lega e l’anno scorso è riuscito a sfatare il tabù del titolo NBA, sfiorato in quel di Oklahoma al fianco di James Harden, un altro fuoriclasse assoluto che migliora anno dopo anno. Al pari di Durant, il Barba punta a vincere il suo primo MVP, che quasi sicuramente riceverà il prossimo 25 giugno, e spera di poter trascinare i suoi Rockets all’anello.

 

In molti gli hanno spesso mosso l’accusa di non esprimersi al meglio ai playoff, anche e soprattutto dal punto di vista mentale, ma il numero 13 di Houston ha risposto alla grande sul parquet, dapprima contribuendo ai netti successi contro Minnesota Timberwolves e Utah Jazz, quindi offrendo una prestazione da incorniciare in gara-1 contro i campioni in carica dei Golden State Warriors. In quest’ultimo caso, però, non è bastata la gigantesca prova del Barba per imporsi, anche perché il favorito per il premio di MVP della regular season ha predicato nel deserto, ricevendo soltanto in parte aiuto dal proprio supporting cast.

 

Al contrario, il micidiale Durant ha avuto una buona, se non ottima, compagnia: per informazioni chiedere a Klay Thompson, che si conferma tiratore letale e giocatore in grado di fare la differenza e di decidere le partite con la propria capacità di farsi valere su entrambi i lati del campo. Avere quattro All-Star in rosa è meno semplice di quel che possa sembrare, ma nel caso di Golden State, il quartetto funziona a meraviglia, soprattutto perché ognuno dei componenti antepone gli interessi della squadra a quelli del singolo.

 

E così, se Curry tira male da dietro l’arco e Green è più nervoso del solito, nessun problema: Thompson ha il ghiaccio nelle vene (28 punti con 6 triple) e Durant non ha ancora placato la propria fame di vittoria, come dimostrano i 37 punti con cui asfalta il reparto arretrato dei Rockets. Oltre a ciò, i primi due trovano comunque il modo di lasciare il segno: il due volte MVP con uno spirito di sacrificio da applausi, come testimoniano le 2 palle recuperate, il Difensore dell’anno con 9 preziosi rimbalzi e altrettanti assist fondamentali. 

 

L’amore di Harden per le prime partite della serie prosegue: dopo i 44 punti contro i Minnesota Timberwolves e i 41 contro gli Utah Jazz, arrivano altri 41 punti con 7 assist contro i Warriors. Stavolta, però, non basta, perché questi ultimi sono probabilmente l’unica squadra della lega in grado di battere con uno scarto di tredici punti i Rockets in una partita in cui Harden non sbaglia praticamente nulla e segna 40 o più punti.

 

Meriti di Golden State, certo, ma anche demeriti del supporting cast di Houston, apparso a larghi tratti inadeguato: Gordon, nonostante i 15 punti dalla panchina, si rende protagonista di alcune scelte sconsiderate e di ben 4 palle perse, Paul non è lucido e spensierato come al solito, anche se i 23 punti con 11 rimbalzi sembrano dire il contrario.

 

L’1-0 nella serie sembra favorire i Warriors, ma occhio a dare per spacciati i Rockets, che finora hanno dimostrato di giocare meglio in trasferta e che di certo vorranno provare a compiere un’impresa che, anche e soprattutto dopo la gran prova offerta da Golden State in gara-1, rappresenterebbe un qualcosa di storico, la fine di un’egemonia che appare destinata a durare ancora a lungo.

 

Una partita non basta per trarre un bilancio della situazione, ma può servire per chiarire alcuni dubbi, introdurne nuovi e, soprattutto, far riflettere: i Warriors sono ancora la squadra da battere, sia ad Ovest che nelle Finals, e questo non è un mistero né una novità, ma se Harden continuerà a giocare così e verrà ben supportato dai compagni, Houston potrà farcela. O, quantomeno, può prolungare la serie il più a lungo possibile e regalarci tanti altri duelli spettacolari come quello di gara-1.