Notte fantastica per Derrick Rose, che sta tornando ad esprimere il meglio del proprio repertorio sul parquet dopo anni a dir poco tormentati in seguito a numerosi problemi fisici e gravi infortuni che ne hanno vistosamente limitato la continuità d’impiego e di rendimento, sino a fargli prendere seriamente in considerazione l’ipotesi di ritirarsi con largo anticipo dal basket giocato.

 

Il classe ‘88, infatti, ha recitato un ruolo di primo piano nel successo per 128-125 dei suoi Minnesota Timberwolves contro gli Utah Jazz, squadra che lo scorso febbraio decise di tagliarlo dal proprio roster dopo averlo acquisito dai Cleveland Cavaliers via trade. Partito in quintetto, D-Rose ha messo a referto la bellezza di 50 punti (career-high), 4 rimbalzi, 6 assist, 2 palle recuperate e una stoppata, tirando con ottime percentuali sia dal campo (61,3% con 19/31) che da dietro l’arco (57,1% con 4/7).

 

A fine partita, applauditissimo dal pubblico del Target Center, Rose è scoppiato in lacrime nel descrivere il proprio stato d’animo dopo la miglior prestazione della sua carriera. Lacrime di gioia per aver dimostrato di poter dire ancora la sua in NBA, ma anche e soprattutto lacrime di commozione per aver vinto la sfida con sé stesso, con la crudeltà del destino e con chi aveva smesso di credere in lui.

 

Per ripercorrere, passo dopo passo, le tappe che hanno segnato l’evoluzione cestistica di Rose fino al netto calo degli ultimi anni, probabilmente non basterebbe un romanzo. Nel 2008 viene selezionato con la prima scelta assoluta al Draft 2008, nel 2011 trascina i Chicago Bulls al primo posto ad Est con un record di ben 62 vittorie ed appena 20 sconfitte e conquista l’MVP a 23 anni non compiuti, risultando il più giovane di sempre a vincerlo, con medie di 25 punti, 4.1 rimbalzi, 7.7 assist e una palla recuperata in 81 partite.

 

Il 28 aprile 2012, nel finale di gara-1 del primo turno dei playoff tra i suoi Bulls e i Philadelphia Sixers, Rose riporta la lesione del legamento crociato anteriore. È solo l’inizio di un lunghissimo calvario che sembra gradualmente porre fine alla sua carriera da giocatore. Il nativo di Chicago, infatti, dopo aver saltato tutta la stagione 2012-2013, disputa appena dieci partite nel 2013-2014, risultando non più esplosivo e determinante come due anni prima.

 

Nell’estate 2016, il prodotto di Memphis viene ceduto ai New York Knicks e, al fianco di Carmelo Anthony e Kristaps Porzingis, ritrova una parte della continuità d’impiego e di rendimento perduta negli anni precedenti, disputando 64 partite con medie di 18 punti e 4.4 assist per gara. L’anno seguente, Rose si accasa ai Cleveland Cavaliers dell’amico LeBron James per fare il backup di Isaiah Thomas, ma dopo appena 16 partite lascia temporaneamente la squadra e medita il ritiro.

 

La svolta arriva con il passaggio ai Minnesota Timberwolves, in cui ritrova tanti suoi ex compagni ai Chicago Bulls, quali Jimmy Butler, Taj Gibson e Aaron Brooks, oltre a coach Thibodeau. A Minneapolis, Rose ritrova pian piano modo di tornare a giocare a ritmi sempre più elevati, tanto da disputare un ottima serie di playoff contro gli Houston Rockets, facendo registrare medie di 14.2 punti, 1.8 rimbalzi e 2.6 assist col 50,9% al tiro e un ottimo quanto irreale 70% da tre.

 

La scorsa estate, Rose è stato confermato nel roster dei Minnesota Timberwolves ed investito del ruolo di Sesto uomo, elemento di spicco della second unit, calandosi perfettamente nelle vesti di giocatore esperto e in grado di cambiare le partite col suo mix di sconfinato talento ed elevatissima conoscenza del gioco. Dopo aver messo a segno 28 punti contro i Dallas Mavericks lo scorso 21 settembre, tornando a toccare tale quota dopo anni, Rose ha vissuto la serata che chiunque si trovi nella sua situazione vorrebbe vivere.

 

Lui, invece, non ci sta a lasciare le cose al caso e accettare la sconfitta senza nemmeno provare a lottare. Il suo ritorno sul parquet con la maglia dei Timberwolves è stato associato dai più maliziosi al fatto che Rose avesse ancora un contratto valido con l’Adidas. Il buon D-Rose, invece, ha dimostrato di anteporre l’amore estremo per il gioco ai soldi e a tutto il resto, travestendosi da mostro spietato nella notte di Halloween e terrorizzando gli Utah Jazz.

 

Al di là dei 50 punti, ennesimo straordinario traguardo di una carriera che sarebbe potuta essere decisamente più gloriosa, ma che gli ha comunque regalato tantissime soddisfazioni fin qui, l’immagine emblematica della grinta da lottatore che lo contraddistingue da sempre è la stoppata con cui blinda la vittoria dei suoi sulla sirena, impedendo a Dante Exum di portare la partita all’overtime: un balzo agguerrito, come a dire: “Ho fatto tutto questo per vincere e vuoi rovinarmi la serata? Non provarci, not in my house!”.

 

Per chi non ha mai smesso di credere in lui, non arrendendosi all’idea che la sua carriera fosse al capolinea, vederlo correre come un matto per tutto il campo, abbattere i difensori avversari con giocate d’autore, divertire e divertirsi e tornare ad essere decisivo e felice è la ricompensa più bella. Complimenti Derrick, meritavi una serata del genere, in cui le tue lacrime di gioia (e non di tristezza, finalmente!) sono anche le nostre.