Il 2018 è stato un anno a dir poco speciale per Derrick Rose, che ha ritrovato continuità d’impiego e di rendimento ed è tornato a essere felice e sereno facendo la cosa che ha sempre amato: giocare a basket. Un’impresa che in tanti si auguravano, ma che in pochi credevano realizzabile, soprattutto alla luce di un evidente calo fisico e psicologico del nativo di Chicago.

Dopo i frequenti infortuni che lo avevano iniziato a perseguitare da quella maledetta gara-1 del primo turno dei playoff 2012 tra i Chicago Bulls e i Philadelphia Sixers, infatti, il classe ‘88 non era riuscito a riscattarsi tra New York Knicks e Cleveland Cavaliers, apparendo l’ombra del dominante fuoriclasse che fino a pochi anni prima dominava la lega.

Più giovane vincitore dell’MVP di sempre nel 2011, a soli 22 anni, Rose ha ritrovato sé stesso ai Minnesota Timberwolves, mettendo in mostra la sua miglior condizione fisica degli ultimi sette anni e tornando a giocare alla sua maniera. Se è vero che il giovane fenomeno che indossava la maglia numero 1 dei Bulls rimarrà uno dei più grandi “what if” della storia, è pur vero che il ritorno ad alti livelli di D-Rose ha il sapore di un vero e proprio miracolo sportivo.

La ciliegina sulla torta, in questo senso, non può che essere la super prestazione da 50 punti (career-high), 4 rimbalzi, 6 assist, una palla recuperata e una stoppata col 61% al tiro (19/31) e il 57% dalla lunga distanza (4/7) nel 128-125 contro gli Utah Jazz nella scorsa notte di Halloween. Una prova che certifica una volte per tutte il ritorno di Rose nell’universo cestistico a stelle e strisce. Proprio quando tutto sembrava finito e il ritiro appariva l’unica soluzione possibile, il prodotto di Memphis non ha mollato ed è tornato a ruggire sul campo.

Impossibile non citare, inoltre, il suo recente ritorno a Chicago, con tanto di 24 punti, 3 rimbalzi, 8 assist e 2 palle recuperate col 58% dal campo (11/19) nel successo per 119-94 dei suoi Timberwolves sui Bulls nella notte tra il 26 e il 27 dicembre, ricevendo una calorosissima accoglienza dal pubblico dello United Center, con applausi interminabili e il coro “MVP! MVP! MVP!”: come ai vecchi tempi, verrebbe da dire.

Attualmente, Rose sta viaggiando a medie di 18.9 punti, 2.8 rimbalzi e 4.8 assist col 49% al tiro, il 46% da dietro l’arco e l’84% dalla lunetta in 32 presenze, di cui 11 in quintetto. Alla corte di coach Tom Thibodeau, Pooh è in corsa per i premi di Sixth Man of the Year e di Most Improved Player e potrebbe addirittura puntare a un posto all’All-Star Game 2019, in programma a Charlotte.

Quel che conta più di tutto, però, è che Rose sia riuscito ancora una volta a imporsi sulla brutalità del destino grazie all‘enorme personalità che lo ha sempre contraddistinto nelle sfide che ha affrontato sia in campo che fuori. Per ciò che concerne le stats, la point guard classe ‘88 sta vivendo la sua miglior stagione dall’infortunio, tirando con la miglior percentuale della carriera da tre.

Nel 2018, invece, D-Rose si è reso autore di medie di 14.5 punti, 2.2 rimbalzi e 3.6 assist col 47% al tiro, il 43% da dietro l’arco e l’84% dalla lunetta in 41 presenze, di cui 7.1 punti, 1.4 rimbalzi e 1.8 assist col 39% dal campo, il 27% da tre e l’80% ai liberi in 8 apparizioni con la maglia dei Cleveland Cavaliers e 16 punti, 2.4 rimbalzi e 4 assist col 48% al tiro, il 45% dalla lunga distanza e l’85% dalla linea della carità coi Minnesota Timberwolves.